Appesa alla parete della sala comune, troneggia una mappa della zona in cui opereremo
GIORNO 1
Una breve bufera di neve ci accoglie all’uscita dell’aeroporto di Balmaceda, in Cile. 30 ore di volo ci hanno portato dall’afa del nostro agosto al culmine dell’inverno australe, che a queste latitudini significa temperature intorno allo zero, cielo quasi perennemente coperto e precipitazioni frequenti, per fortuna prevalentemente piovose.
Quattro ore di auto e arriviamo a Puerto Cisnes, minuscolo agglomerato di casette di legno affacciato su uno del migliaio di fiordi che come vene d’acqua frastagliano la costa della Patagonia Cilena.
La causa di questa migrazione inversa, dal caldo europeo al freddo australe, è stata la partecipazione ad una spedizione di ricerca che ha l’obiettivo di studiare a fondo i diversi aspetti fisici e biologici del fiordo Puyuhuapi; il nostro compito è quello di osservarne e descriverne per primi i popolamenti di organismi di fondo roccioso. Un’occasione troppo ghiotta da rifiutare, pur sapendo le condizioni piuttosto estreme cui saremmo andati incontro.
Una baia circondata dalla lussureggiante foresta pluviale…e in effetti piove!
GIORNO 2
L’impatto è spiazzante: siamo stipati in una cabaña, una capanna di legno riscaldata solo da una stufetta a legna che da quel momento e per tutti i giorni a venire rappresenterà la nostra principale occupazione, soprattutto a causa della legna inevitabilmente umida; l’acqua è fredda, e la doccia la facciamo con tinozze di acqua scaldata sui fornelli!
Basta però una passeggiata per rimanere incantati dalle aspre montagne dalle cime innevate, che si tuffano in un oceano reso incredibilmente calmo dal dedalo di canali contorti che ne smorza la furia; dalla vegetazione lussureggiante, una vera foresta pluviale di climi freddi, che lambisce l’acqua; dagli avvoltoi testa rossa che volano in cerchio scrutando il suolo alla ricerca di prede.
Il direttore del centro e Migueluti sul gommone Calafate II
GIORNO 3
Siamo in 35, e copriamo diversi ambiti della biologia marina, in modo da sviscerare tutti i diversi aspetti fisici, chimici e biologici che caratterizzano questo fiordo.
Noi italiani siamo il team zoologico subacqueo, e usciamo in mare a bordo di un piccolo gommone, insieme al direttore del centro di ricerca, Migueluti, pescatore cileno che ci assiste in immersione, e Jeff, oceanografo americano incaricato di verificare l’intensità della luce nella colonna d’acqua; questa è di un bel colore verde intenso, decisamente scura, e la visibilità è meglio di quanto ci aspettassimo, superando agevolmente la decina di metri.
Sott’acqua non mancano i nudibranchi; nella foto Flabellina falklandica
GIORNO 4
La navigazione non è confortevole, per il freddo intenso e la pioggia incessante, e ci stringiamo nelle cerate, nei berretti e nelle sciarpe che indossiamo sopra le mute già chiuse.
Gli approdi in baie deserte sono meravigliosamente irreali, avvolti nel silenzio più totale, con nuvole basse che nascondono l’orizzonte e il mare completamente immobile sotto di noi.
L’acqua sotto al gommone appare sempre scura; lo strato più superficiale è costituito da acqua più dolce, derivata dall’apporto dei numerosi torrenti, ed è opaco e freddo, intorno a 5° di temperatura. Al di sotto di un termoclino spesso ben visibile, ecco l’acqua salata, e con essa inizia la vita di questo fiordo!
Queste gorgonie del genere Thouarella, tipiche di acque fredde, possono presentarsi di un acceso colore arancione, o completamente bianche
GIORNO 6
La luce è quasi completamente assorbita dalla coltre sovrastante, e tutto è avvolto da un’atmosfera crepuscolare, addirittura quasi notturna; le pareti sono verticali, e vengono presto inghiottite dal buio.
Le rocce sono lisce e coperte di alghe incrostanti rosa, e nei primi metri di profondità sono letteralmente nascoste da un tappeto composto da grandi mitili e dal gasteropode Crepipatella dilatata.
Qui si muovono grossi granchi, e strisciano enormi stelle marine, che si nutrono agevolmente di questi molluschi. L’abbondanza di echinodermi è una costante a tutte le profondità, con stelle marine, ricci ed oloturie sempre estremamente comuni.
Sotto i dieci metri diventa però importante anche la presenza di cnidari, con gorgonie arborescenti o a frusta che si ergono spavalde dalle rocce nude, ottocoralli incrostanti che ricoprono gusci di conchiglie, e grandi anemoni di mare di colore rosa o arancio.
Un bell’esemplare della madrepora solitaria Desmophyllum dianthus…un’emozione incontrarla in immersione dopo averla visto per anni solo in immagini provenienti da profondità inaccessibili ai subacquei!
GIORNO 8
A parte l’onnipresente alga incrostante, e qualche sparuta fronda di kelp alta più di due metri, il mondo vegetale è completamente escluso da questo ambiente, così gli animali sessili, che vivono cioè attaccati al fondo, la fanno da padrone.
Oltre a molluschi e cnidari (tra i quali va notata la presenza di Desmophyllum dianthus, un corallo bianco presente in Mediterraneo solo al di sotto dei 500 metri di profondità), sono comuni i brachiopodi, strani organismi racchiusi in un guscio bivalve, simile ad una grossa vongola, ma attaccato alla roccia da un peduncolo carnoso.
Una coppia di grossi granchi Metacarcinus edwardsii si affaccia da una roccia isolata sul fondo mobile
GIORNO 10
Il mare è sempre piatto, o al massimo increspato da onde corte; oggi però, abbastanza inspiegabilmente, il porto rimane chiuso per mare mosso, e allora affrontiamo la tortuosa carretera austral con i pick-up ed il gommone al seguito per esplorare l’estremità del fiordo, che si rivela ricche di sorprese.
Lo splendido granchio Lithodes santolla, con il suo aspetto “alieno” è uno degli organismi più affascinanti incontrati durante questa spedizione
GIORNO 12
Sulle rocce si muovono grandi chitoni, lunghi oltre 5 cm, a volte lucidi come ebano. Decisamente oversize anche i gasteropodi, tra cui spiccano i nudibranchi, di cui in questi giorni abbiamo incontrato una manciata di specie, tutte relativamente comuni e di dimensioni decisamente imponenti, una delle quali addirittura oltre i 20 cm di lunghezza.
Poco frequenti ma spesso molto belli i crostacei; tra tutti, merita una menzione lo strano granchio spinoso Lithodes santolla, dalle sembianze aliene.
Patagonotothen sp., pesce appartenente al gruppo dei nototenoidei, generalmente detti icefish; anche in questo caso, è emozionante poterne incontrare uno dal vivo!
GIORNO 15
I pesci sono incredibilmente infrequenti: la colonna d’acqua è immota, e fra i sassi o negli anfratti è raro vedere un guizzo. Le specie più comuni appartengono al genere Patagonotothen e al sottordine Notothenioidei, quello dei cosiddetti icefish, tra i pochi pesci in grado di vivere permanentemente in acque antartiche, con incredibili adattamenti al freddo; è bello poterne ammirare alcuni rappresentanti, al limite settentrionale del loro areale di distribuzione!
Un pettine Zygochlamys patagonica scappa con il tipico movimento di fuga, definito clapping
GIORNO 17
Nei gradini lungo le pareti, a volte si accumula detrito grossolano, composto prevalentemente da conchiglie di molluschi, teche di ricci e tubi di policheti; solo nelle baie più strette si può trovare qualche confinata distesa sabbiosa, e oggi abbiamo avuto la possibilità di esplorarne un paio. In questi ambienti la vita cambia totalmente: fanno la loro comparsa piccoli gamberetti, galatee mimetiche, paguri, simpatici pettini che scappano nella colonna d’acqua battendo le valve, e timidi e delicati pesci ago.
Un amichevole pellicano ama specchiarsi nell’oblò della mia macchina fotografica
GIORNO 20
L’avventura sta finendo, ho iniziato il viaggio che in ben 4 giorni mi riporterà in Italia. Tirando le somme di questa avventura, penso che durante gli scrosci d’acqua più intensi, o quando verso il tramonto il freddo era ancora più pungente, è sorta spesso la domanda: ma ne vale la pena? E all’uscita da ogni immersione la risposta è sempre stata sì; in queste condizioni, non è affatto poco.